Editoriale

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Nel primo trimestre 2021, il Covid-19, dopo aver rallentato fino ad inizio febbraio, ha accelerato in modo vistoso, soprattutto
in aree come il titolo di l’America del Sud, l’Europa e Asia

Contemporaneamente la campagna vaccinale è proseguita con un ritmo decisamente diverso tra i vari Paesi.

Questo, non ha prodotto gli effetti sperati nel contenimento del virus, se non come la Gran Bretagna.

A circa un anno dal suo scoppio, la pandemia ha continuato ad agire come acceleratore del processo di focalizzazione che vede la sostenibilità e la digitalizzazione come le direttrici fondamentali in ambito economico e finanziario.

Sul fronte economico:

Ad ora, grazie ai sostegni fiscali e monetari, il lento processo di recupero continua.

I dati macro e societari che sembrano confermare questo trend, anche se permangono alcuni elementi di incertezza.

Sui mercati:

Nelle settimane passate si è agitato lo spettro della reflazione, nonostante le autorità monetarie abbiano ribadito il carattere transitorio di questa dinamica.

Indipendentemente da chi abbia ragione, va però considerata l’ipotesi che, almeno per gli Stati Uniti le aspettative su questo tema siano cambiate.

Infatti, accanto alla conferma da parte della Fed di una politica monetaria espansiva ancora a lungo.

Il Congresso americano ha approvato il piano Biden da 1.900 mld di dollari, che vanno a sommarsi ai 900 messi sul piatto a dicembre dalla precedente amministrazione.

In questo clima di cauto ottimismo l’area asiatica, trainata dalla Cina, correrà più veloce dei Paesi sviluppati, con prospettive di crescita decisamente invidiabili.

A trarne vantaggio saranno anche i Paesi maggiormente collegati e/o vicini geograficamente.

Il punto sulla congiuntura

L’arrivo dei vaccini anti-Covid-19, l’accordo di Brexit, l’approvazione di un nuovo pacchetto fiscale negli Stati Uniti e del Recovery Fund nell’Area Euro.

Il 2021 si è aperto poi con la vittoria dei Democratici al ballottaggio per il Senato in Georgia, che ha assicurato il supporto dell’intero Congresso al Presidente Biden e alla sua amministrazione.

La transizione politica negli Stati Uniti ha creato l’aspettativa di un secondo pacchetto di stimoli fiscali, innescando nel Paese una rimodulazione delle attese di crescita e inflazione.

Oggi, negli USA politica fiscale e monetaria sono allineate nel favorire una ripresa inflazionistica:

Da un lato, lo stimolo fiscale dell’amministrazione Biden, dall’altro, il nuovo regime di politica monetaria della Fed, che vuole stimolare un rialzo delle aspettative di inflazione (e quindi l’inflazione corrente), compensando i precedenti periodi di inflazione troppo bassa.

In tal senso la banca centrale americana si è impegnata per il futuro a tollerare deviazioni dell’inflazione al di sopra del target del 2%, senza alzare i tassi di interesse.

Con queste premesse gli Stati Uniti si preparano a guidare la crescita mondiale nel 2021.

Secondo le stime del Committee for a Responsible Federal Budget la crescita USA dovrebbe essere in grado di chiudere quasi tutto l’output gap stimato per il 2021.

Per l’OECD, la crescita a fine 2021 sarà persino un po’ più alta (+0,2%) rispetto a quanto previsto prima dello scoppio della pandemia (proiezioni di novembre 2019).

Al contrario, l’Area Euro si conferma un’economia a due velocità, dove il comparto manifatturiero ha imparato ad adattarsi alla pandemia, ingaggiando un trend positivo sulla scia della domanda estera, trainata da Stati Uniti e Cina, mentre il terziario resta in recessione a causa delle misure di contenimento pandemico.

In Cina sarà necessario aspettare i dati relativi a marzo per verificare la natura del rallentamento registrato dai dati congiunturali nei primi mesi del 2021.

Pertanto, nel breve periodo la velocità della ripresa nelle diverse aree geografiche sarà asincrona e condizionata dall’evoluzione della campagna vaccinale.

Influirà sia sull’imposizione di nuove misure restrittive sia sulla fiducia dei consumatori e, sulla spesa del risparmio precauzionale accumulato nell’ultimo anno.

“I progressi nella campagna vaccinale e un policy mix accomodante garantiranno un’importante accelerazione della crescita economica a partire dalla primavera.”

La campagna vaccinale sta procedendo a velocità diverse nei vari Paesi.

Negli Stati Uniti il presidente Biden mira ad ammettere tutti gli americani alla vaccinazione entro l’inizio di maggio, per arrivare al 4 luglio a una situazione quasi di normalità.

Israele registra una diminuzione nel numero di ricoveri

L’Area Euro, invece, continua ad accumulare ritardi nella campagna vaccinale, mentre la diffusione di nuove varianti del virus impone ulteriori restrizioni dell’attività economica.

Pertanto, sebbene l’Europa vedrà la fine del distanziamento sociale nel 2021 e una rapida implementazione del piano Next Generation dell’UE, la ripresa sarà più lenta.

Sullo sfondo di condizioni finanziarie accomodanti e di un continuo stimolo monetario, i prezzi degli asset rischiosi hanno reagito fortemente alla prospettiva di stimolo fiscale.

I titoli azionari hanno esteso i guadagni, spesso superando i livelli pre-pandemia e, in alcuni casi, raggiungendo i massimi storici.

Gli spread sul credito si sono ulteriormente ristretti, con differenze tra Paesi e settori che riflettono i ritardi di alcuni programmi di vaccinazione.

Mentre i rendimenti sovrani a breve termine sono rimasti stabili, aspettative di inflazione più elevate hanno accompagnato un irripidimento della struttura a termine governativa.

Il movimento si è originato negli Stati Uniti ma si è esteso via correlazione anche all’altra sponda dell’Atlantico:

I rendimenti dei titoli di Stato a lungo terminedell’Area Euro hanno subito un significativo incremento, pur permanendo su livelli complessivamente contenuti.

Lo scenario di medio termine vede, in generale, un 2021 caratterizzato da un’importante accelerazione della crescita economica a partire dalla primavera.

Il policy mix sarà mantenuto estremamente accomodante, con leautorità fiscali che continueranno a sostenere la crescita con ampi disavanzi pubblici e con le banche centrali impegnate a garantire condizioni finanziarie favorevoli attraverso programmi di allentamento monetario destinati a perdurare ben oltre la fine dell’emergenza sanitaria, potendo beneficiare delle aspettative di inflazione relativamente contenute.

Politiche economiche espansive e somministrazione dei vaccini:

Renderanno sempre più sostenibile la ripresa dell’economia, impattando positivamente sulla domanda aggregata.

Favorirà una significativa riduzione dell’incertezza che ha portato famiglie ed imprese ad accumulare risparmi precauzionali.

L’impiego di tali risparmi alimenterà ulteriormente il circolo virtuoso dello sviluppo, destinato ragionevolmente a protrarsi anche nella prima parte del 2022.

Questo quadro darà forte impulso agli utili aziendali e contribuirà a sostenere i mercati azionari, in un contesto di rendimenti governativi prossimi a zero, se non negativi.

Il nuovo anno ha portato con sé anche una rimodulazione dei rischi di scenario.

Se l’evoluzione della pandemia rimane l’elemento principale che condiziona lo scenario di breve termine, i mercati finanziari iniziano a temere un eccessivo irripidimento della struttura a termine governativa USA.

In Europa resta ridotto il rischio di un ritardo nell’erogazione dei fondi del Recovery Fund e si inizia a configurare un modesto rischio di “tightening” nel mercato del credito, nell’ipotesi del venir meno delle garanzie statali ai prestiti.

Sulla base dello scenario resta il rischio di un “Policy Mistake”

E’ una rimozione troppo precoce degli stimoli monetari e/o fiscali, innescato da un rialzo improvviso dell’inflazione che porti la Fed e altre Banche Centrali nelle economie del ciclo ad un “tightening” inatteso.

Il punto sulle economie emergentiIl 2021 si è aperto all’insegna della speranza del ritorno alla “normalità”:

Grazie alle campagne vaccinali, dopo un anno in cui le misure restrittive volte al contenimento della pandemia hanno frenato il settore produttivo e i consumi.

Il punto, inquadrando la modifica del sentiero di crescita globale dopo lo shock pandemico e quanto siamo distanti dal pieno recupero rispetto ai livelli di fine 2019.

Il confronto tra le stime attuali e quelle di inizio del 2020 relative al tasso di crescita del Pil nel 2022 proposto dal Fondo Monetario Internazionale.

Nonostante la maggior parte delle aree abbia mostrato una buona capacità di recupero.

A livello globale il Fondo proietta per il 2022 un livello del Pil ancora inferiore circa del 4% rispetto a quanto stimato un anno prima per lo stesso periodo.

I risultati non sono omogenei tra le diverse aree

Per le economie avanzate tale divario si riduce infatti al 2%, grazie alla performance particolarmente positiva degli Stati Uniti,
che dovrebbero ritornare sui livelli di Pil di fine 2019 già a metà di quest’anno, raggiungendo in tempi rapidi anche la traiettoria in corso ante-Covid.

Un recupero altrettanto rapido è atteso per il Giappone, mentre per Europa e Regno Unito le previsioni indicano il 2022 come anno di chiusura del gap.

Per quanto riguarda i Paesi emergenti le stime del FMI mettono in luce come l’impatto sia stato di tutto rilievo, con un divario tra la previsione corrente relativa al 2022 e quella di gennaio dello scorso anno pari al 5%, superiore di un punto percentuale alla media globale.

Il dato cela differenze profonde tra le diverse aree.

Fanalino di coda è l’Asia emergente ex Cina, che si troverà, secondo le previsioni correnti, un livello del Pil nel 2022 inferiore dell’8% rispetto a quanto stimato un anno fa.

Seguono l’America Latina e l’Africa sub Sahariana.

Per le economie emergenti europee e per la Cina la performance è invece superiore alla media globale.

Il livello di Pil raggiunto nel 2022 dipenderà dalla profondità della caduta legata allo shock pandemico e dalla capacità di recupero nell’anno in corso.

La Cina ha realizzato una ripresa rapida e completa, totalizzando una crescita del 2,3% già nel 2020 ed è risultata seconda solo agli Stati Uniti nella capacità di chiudere il divario tra la traiettoria di crescita corrente e quella stimata a inizio dello scorso anno.

L’India ha visto una contrazione del Pil dell’8% nel 2020, più che compensata dalle attese di un rimbalzo dell’11,5% per l’anno in corso, mentre per l’America Latina, che ha registrato -7,4% lo scorso anno, si stima un recupero del 4,1%, in grado di compensare solo parzialmente la caduta passata.

La velocità della ripresa e la portata degli effetti di medio termine dipendono da alcuni fattori chiave come la struttura del tessuto produttivo e la relativa abilità
di adattamento alle restrizioni imposte, la capacità del settore sanitario di fornire una risposta adeguata alla pandemia e l’accesso a infrastrutture tecnologiche.

La tecnologia ha rappresentato infatti un game changerper la prosecuzione di molte attività.

La disponibilità di strutture digitali ha permesso un rapido interscambio di informazioni tra i diversi poli di ricerca scientifica, ha incentivato la prosecuzione del lavoro da casa in smart working e lo svolgimento della didattica a distanza e ha dato impulso agli acquisti online.

Nei Paesi carenti di questo tipo di infrastrutture, come alcune economie del continente africano, la pandemia ha esacerbato le difficoltà di accesso a molti servizi, che a causa del distanziamento sociale erano disponibili solo online.

Un secondo punto di tutto rilievo per lo scenario dei prossimi mesi è l’accesso ai vaccini, soprattutto nelle aree in cui il numero di contagi è ancora elevato e i sistemi sanitari sono insufficienti.

La diffusione dei vaccini anche nei Paesi in via di sviluppo rappresenta una sfida in cui la cooperazione internazionale non può fallire per assicurare una ripresa locale e globale.

Bisogna ricordare a tal proposito che le economie emergenti sono un tassello essenziale che pesa per il 40% sul Pil globale (65% se si considera anche la Cina) e che il recupero dei Paesi produttori di materie prime è necessario per alimentare la catena produttiva globale.

Un ulteriore fattore da monitorare, sostanziale per la prosecuzione della ripresa nei prossimi mesi, è l’estensione delle misure fiscali accomodanti da parte dei Governi.

La spesa dovrà essere destinata prevalentemente all’ambito sanitario in modo da aumentare la capacità di risposta alla pandemia e accompagnare il tessuto produttivo nella fase di ripartenza.

La pandemia rappresenta inoltre l’occasione per molti Governi di promuovere uno sviluppo che vada verso un modello sostenibile e orientato anche al miglioramento delle infrastrutture disponibili, in primis digitali.

Possiamo citare in tal senso il noto programma europeo Next Generation Eu, ma progetti analoghi dovranno essere messi in campo anche in Paesi in via di sviluppo prendendo come esempio il caso del Ruanda, dove le iniziative del Governo hanno contribuito a far crescere il tasso di diffusione di internet al punto che già nelle prime fasi della pandemia è stato possibile offrire servizi di telemedicina e tracciamento dei casi Covid.

Se consideriamo che in Africa solo il 28% della popolazione utilizza internet risulta evidente non solo che ci sia ampio spazio di crescita, ma anche che il progresso debba seguire questa direzione.

Un ultimo punto è legato all’aumento del fabbisogno di finanziamento innescato dalla messa in campo di misure fiscali espansive.

Nei prossimi mesi le economie emergenti registreranno una maggiore necessità di accedere ai mercati finanziari come dimostra la stima dell’ammontare delle emissioni governative, che a gennaio ha toccato il massimo da aprile dello scorso anno con un totale di più di 30 mld di dollari.

In tal senso l’andamento dei flussi di portafoglio rimane una variabile chiave da monitorare, anche alla luce del rialzo dei rendimenti che si osserva nei Paesi sviluppati.

L’andamento dei mercati

Nel corso dello scorso anno si è assistito ad un recupero completo del mercato azionario emergente, con la Cina che ha fornito il maggiore contributo positivo alle performance riflettendo la capacità di contenere la pandemia e la rapida ripresa economica, mentre il Brasile ha chiuso l’annopenalizzato dall’andamento del quadro sanitario.

Da inizio anno le migliori performance sono state registrate dagli indici relativi al Sudafrica in primis e da Paesi produttori di materie prime come la Russia, che ha recuperato in parte le perdite dello scorso anno beneficiando della ripresa del prezzo del petrolio.

Per quanto riguarda l’area asiatica, il mercato azionario indiano continua a mostrare segnali di tenuta grazie alla ripresa solida e superiore alle attese, mentre la Cina ha subito un forte repricing legato alle intenzioni dichiarate dai policy maker di normalizzare lo stimolo fiscale e monetario.

Per quello che riguarda i mercati valutari, da inizio anno le principali valute, tra cui rupia indiana, renminbi cinese e rand sudafricano si sono apprezzate contro euro sulla scia del miglioramento del quadro congiunturale.

Risulta ancora penalizzato il real brasiliano. L’andamento delle variabili finanziarie riflette le divergenze regionali in termini di crescita e gli elementi di vulnerabilità
che caratterizzano alcuni Paesi.

Nelle prossime pagine viene esposto un quadro sinottico di alcune delle principali economie.

Cina

📉 Crescita

Un target di crescita che evoca il ritorno alla normalità

Il Governo cinese punta ad un target di crescita più debole rispetto agli altri anni, spostando il focus dalla ripresa post pandemia agli obiettivi di lungo periodo, come il contenimento del debito e la riduzione della dipendenza tecnologica dagli USA.

Il target del 6%, accompagnato da una attesa di contenimento del deficit al 3,2% del Pil, promossi dal Premier Li Kequiang, vanno in direzione di una normalizzazione dello stimolo per l’economia che per prima è riuscita a recuperare dallo shock pandemico, lasciando spazio al contempo per investimenti in
riforme strutturali.

⬅️➡️ Indicatori anticipatori

Un avvio d’anno non brillante, ma che lascia spazio a sorprese positive per la crescita La survey PMI di marzo ha riportato una moderazione della ripresa legata al rallentamento dei consumi interni.

Tuttavia le imprese sono incoraggiate dalla tenuta della domanda estera che beneficia dei progressi sanitari, soprattutto oltreoceano, tanto da anticipare i piani di investimento e procedere con nuove assunzioni.

I conseguenti progressi in termini di occupazione, uniti alle misure del Governo volte ad ampliare l’offerta di prodotti, dovrebbero sostenere i consumi privati nei mesi a venire, lasciando spazio a sorprese positive per la crescita del Pil.

Politica economica

Si avvia la fase di normalizzazione, con un focus sulla crescita ordinata del capitale

Il 2021 si caratterizzerà per una fase di graduale normalizzazione della politica fiscale, accompagnata da misure che ne attenueranno l’impatto sulle MPMI e da uno spostamento del focus dalle infrastrutture tradizionali all’innovazione.

Dello stesso tenore dovrebbe essere l’intonazione della politica della Banca Centrale (PBoC), che dovrebbe puntare sul contenimento della crescita dell’indebitamento, fornendo però sostegno alle imprese.

Cambiamento climatico

Il piano quinquennale ridimensiona le attese di una transizione energetica accelerata

L’annuncio di dicembre del piano di incremento a 1,2TW della potenza installata nell’eolico e nel fotovoltaico sembrava indicare una accelerazione in favore degli obiettivi di lotta al cambiamento climatico, creando grande attesa per i dettagli riportati nel piano quinquennale.

Quest’ultimo ha invece deluso le aspettative confermando la riduzione del 18% delle emissioni per unità di Pil e un target del 20% per le energie rinnovabili all’interno del mix energetico.

India

📉 Crescita

Il 2021 punta ad una ripresa solida con una crescita del Pil nell’ordine del 10%

Il 2020 si è chiuso con un primo valore positivo in termini di crescita tendenziale (+0.4% nel quarto trimestre), grazie soprattutto alla ripresa degli investimenti.

Le stime per l’anno in corso puntano ad una accelerazione della crescita del Pil, nell’ordine 10%, favorita dalla disponibilità di due vaccini prodotti in loco che dovrebbero agevolare la campagna di immunizzazione, permettendo il recupero dei consumi e dei servizi finora penalizzati dalle misure di contenimento.

Positive infine le attese sul settore agricolo.

⬅️➡️ Indicatori anticipatori

La temporanea battuta d’arresto non intacca la fiducia sull’imminente ripresa

Le survey PMI indicano una battuta d’arresto rispetto allo slancio di inizio anno.

La domanda interna risulta ulteriormente penalizzata dalla recrudescenza della pandemia in molte aree.

Per contro le imprese segnalano una buona tenuta della domanda estera, con un aumento dei nuovi ordini per il settimo mese consecutivo.

Gli indici relativi alle attese per i prossimi mesi sono tornati sui livelli pre-Covid segnalando un maggiore ottimismo tra le imprese e i consumatori circa la prospettiva di ritorno alla normalità.

 Politica fiscale

La conferma del sostegno fiscale porta ad una riduzione solo moderata del deficit/Pil

La politica fiscale punta ancora a sostenere la ripresa con un aumento della spesa sanitaria e degli investimenti in infrastrutture e una razionalizzazione dei dazi a sostegno delle imprese.

Verrà inoltre costituita una società per l’acquisizione e gestione dei crediti deteriorati delle banche e un fondo a supporto dell’agricoltura.

Nonostante l’obiettivo di riduzione del rapporto deficit/Pil a 6,8% nel 2021, la revisione al rialzo del target di lungo periodo al 4,5% potrebbe essere valutata come un indebolimento del sentiero di consolidamento dei conti pubblici.

Politica monetaria

Normalizzazione all’orizzonte, ma nel breve serve ancora sostegno

La Banca Centrale Indiana (RBI) manterrà nel breve l’assetto espansivo per favorire il settore produttivo, mentre a tendere sarà necessaria una fase di normalizzazione per far fronte alle spinte inflazionistiche sostenute dai rialzi nelle materie prime, tranne quelle agricole che beneficiano del buon andamento del raccolto.

Un primo passo in tale direzione è rappresentato dal graduale aumento del coefficiente di riserva di liquidità programmato nei mesi primaverili.

Sudafrica

📉 Crescita

Un avvio d’anno ancora segnato dalla pandemia, ma con possibilità di recupero

La pandemia ha generato lo scorso anno una forte contrazione del reddito (-7%), con la fase di ripresa seguita alla prima ondata vanificata dall’esplosione dei contagi per via della variante sudafricana.

Il recupero dei livelli pre-Covid non è prossimo, con una stima di crescita del Pil per il 2021 del 3,8%.

La recente recrudescenza della pandemia porterà il primo trimestre in negativo, con la domanda interna sia pubblica che privata ancora debole per via delle misure di contenimento.

Rischi sullo scenario

Da monitorare i prezzi delle materie prime, la domanda globale e il quadro sanitario

I rischi sullo scenario sono bilanciati, con la minaccia di nuove ondate che si configura quale principale rischio al ribasso, insieme ai ritardi nella campagna vaccinale.

A pesare sulla crescita anche il rincaro del prezzo del petrolio di cui il Paese è importatore, mentre la prospettiva di un recupero della domanda globale e l’ascesa dei prezzi delle materie prime sono fattori di supporto, come testimoniato dall’ampliamento del surplus di conto corrente

Inflazione

Una dinamica moderata con un limitato pass through dei rincari energetici

Il tasso di inflazione dovrebbe rimanere stabile rispetto al 2020 (3,3%), con una accelerazione prevista solo nei due anni successivi.

L’aumento del prezzo del petrolio, insieme ai rincari nell’energia elettrica, spingono al rialzo la componente energetica dell’inflazione, tuttavia la debolezza della domanda interna e l’apprezzamento del cambio fanno da contrappeso, facendo pensare ad un sentiero di crescita dei prezzi solo moderato.

Politica economica

Il Governo e la Banca Centrale sostengono la ripresa

Il sostegno della politica economica alle imprese e ai consumatori è un fattore necessario per il recupero post pandemia.

In tal senso la South Africa Reserve Bank nel corso della riunione di marzo ha confermato la stance accomodante, con provvedimenti regolatori che agevolano le banche nella concessione del credito, mentre il Governo ha annunciato una maggiore spesa in vaccini e la sostituzione del previsto rialzo delle imposte con sgravi fiscali.

Brasile

📉 Crescita

Un avvio d’anno ancora segnato dalla pandemia frena il recupero

Il 2020 si è chiuso con una contrazione del Pil del 4,4%.

L’attenuazione dei segnali di recupero dovrebbe proseguire nel primo semestre del nuovo anno portando ad una nuova caduta del reddito sulla scia della recrudescenza della pandemia.

Le previsioni per l’anno in corso di una crescita del 3,2% celano, grazie a effetti statistici positivi, una condizione di debolezza della domanda interna fiaccata dalla pandemia e dal venir meno dei trasferimenti statali alle famiglie.

Rischi sullo scenario

Il quadro sanitario rappresenta ancora il principale rischio al ribasso

I rischi sullo scenario sono legati alla gestione della pandemia che ha inferto ingenti danni al settore produttivo, con un forte aumento della disoccupazione.

I conti con l’estero non rappresentano un rischio rilevante, con un disavanzo di parte corrente e un indebitamento estero di modesta entità e la presenza di riserve valutarie.

Infine, la bilancia commerciale dovrebbe continuare a beneficiare delle esportazioni di materie prime verso la Cina.

Politica monetaria

La Banca Centrale avvia la normalizzazione della politica monetaria

A marzo la Banca centrale brasiliana (Copom) ha deciso di alzare i tassi di riferimento dello 0,75% portandoli al 2,75%, anticipando nel comunicato un ulteriore rialzo nella riunione successiva.

La decisione è stata presa sulla scia di una risalita dell’inflazione giudicata dal board maggiormente persistente rispetto alle attese, generata da incrementi nei prezzi delle materie prime, in particolar modo di quelle energetiche.

Politica fiscale

Da monitorare l’avvio della campagna elettorale

Le misure messe in campo dal presidente Bolsonaro lo scorso anno sono state ingenti, stimate in circa il 18% del Pil.

Il sostegno della politica fiscale è così riuscito ad evitare danni economici più profondi, comportando però un aggravio sui conti pubblici.

Un tema da monitorare nel prossimi mesi è l’inizio della campagna elettorale per il 2022 dopo la notizia di una possibile candidatura dell’ex presidente Lula.

Africa digitale: tra opportunità e sfida

È ormai chiaro che il 2020 rappresenta un doloroso punto di svolta.

Lo scoppio della pandemia di Covid-19 ha generato una crisi violenta che ha sconvolto i sistemi preesistenti, tuttavia al contempo ha creato delle opportunità che, se sfruttate in modo appropriato, consentiranno di procedere verso uno sviluppo sostenibile.

Il monito di papa Francesco “peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla”, anche se pronunciato in un contesto diverso, calza perfettamente.

Tutto ciò è ancora più vero per un continente come quello africano, per il quale una ripartenza accompagnata da investimenti in infrastrutture e innovazione potrà essere il vero motore di crescita per i prossimi anni.

La sfida

La digitalizzazione ha rappresentato un game changer nell’affrontare la pandemia in quanto ha permesso di utilizzare i canali online per continuare a lavorare, ad effettuare acquisti e per favorire la fruizione dei servizi sanitari.

In molti Paesi africani ciò non è stato possibile.

La scarsa elettrificazione e il ridotto accesso alle telecomunicazioni hanno esacerbato gli effetti della pandemia isolando intere aree.

Le conseguenze non sono state circoscritte all’ambito sanitario.

Ad esempio, l’interruzione dei servizi di istruzione, non praticabili a distanza, andrà ad amplificare il ritardo nella crescita di alcuni Paesi.

Per contro la volontà di reagire alle difficoltà generate dalla pandemia si è tradotta in uno slancio dell’iniziativa privata, che ha favorito la nascita di numerose start up nel settore tecnologico.

Alcune di queste hanno prontamente creato sistemi di tracciamento dei contagi, tra cui FabLab in Kenya con l’app Msafari e l’app Wiqaytna6 in Marocco.

Queste dinamiche hanno messo in luce come la digitalizzazione rappresenti la principale sfida da vincere, non solo per contrastare gli effetti nefasti delle misure di contenimento del contagio, ma anche per accrescere in modo sostenibile il potenziale economico.

Si è reso inoltre evidente come lo sviluppo tecnologico non possa essere interamente delegato all’iniziativa privata, ma è necessaria l’azione di coordinamento dei Governi.

Si pensi in tal senso al pacchetto del valore di 750 mld di euro Next Generation Eu, col quale l’Unione Europea si propone di investire in una Europa verde, digitale e resiliente.

Un esempio altrettanto virtuoso, sebbene purtroppo quasi unico, si riscontra anche nel continente africano.

In Ruanda il Governo ha portato avanti con successo un progetto di digitalizzazione che ha permesso al 90% della popolazione di avere un accesso a Internet e al 75% di disporre della telefonia cellulare.

Tali iniziative, oltre a costituire un investimento per il futuro, si sono rivelate determinanti nel combattere la pandemia, in quanto hanno permesso di mettere in campo servizi di telemedicina e sistemi di tracciamento dei contagi in tempo reale.

Il margine di azione dei Governi per lo sviluppo digitale ha in prospettiva dimensioni davvero ragguardevoli in quanto il continente africano coniuga due elementi che si amplificano a vicenda:

Una dinamica demografica in crescita, con una età media molto bassa, e un utilizzo di Internet ancora molto limitato.

In tal senso basti pensare che il tasso di penetrazione di Internet in Europa (89,1%) e Nord America (90%) è in media il doppio di quello africano (46%), con differenze regionali molto marcate.

Libia e Kenya raggiungono infatti livelli paragonabili a quelle dei Paesi occidentali, mentre buona parte dei restanti Paesi presenta ancora livelli molto contenuti (20%-30%).

L’opportunità

I rapporti con la Cina rappresentano una chiara opportunità per ottenere un supporto per la realizzazione delle infrastrutture necessarie per procedere verso la digitalizzazione.

Negli ultimi 20 anni l’accelerazione degli scambi bilaterali e la presenza di capitali cinesi in Africa per mezzo di investimenti diretti (FDI) e prestiti commerciali sono state di tutto rilievo.

La forte adesione da parte degli stati africani all’Iniziativa Belt&Road (BRI), messa in campo dal Governo cinese nel 2013 al fine di migliorare i collegamenti commerciali attraverso la creazione di infrastrutture di telecomunicazione e di interscambio commerciale, ha rinsaldato i rapporti tra le due aree con chiari vantaggi per entrambe:

Le società cinesi hanno ottenuto un punto di accesso al continente africano, mentre i Governi locali hanno potuto beneficiare del project finance cinese.

L’imposizione di misure di contenimento della pandemia ha posto un freno a tale tendenza, tuttavia il rapido recupero della Cina ha consentito di riprendere prontamente i rapporti di collaborazione tra le due aree, grazie all’ attivazione di iniziative di solidarietà.

Oltre alla rimodulazione del debito in accordo con i Paesi del G20, la Cina ha messo a disposizione dispositivi medicali e di protezione, nonché i propri vaccini a tariffe contenute o, in alcuni casi, gratuitamente.

Il viaggio di gennaio del Ministro degli esteri cinese Wang Li, con tappe in Nigeria, Repubblica del Congo, Botswana, Tanzania e Seychelles, ha rappresentato una chiara testimonianza della volontà di portare avanti i progetti già in atto e di far ripartire gli investimenti in infrastrutture, ma anche di proseguire sulla strada dell’innovazione con un focus sulla digitalizzazione.

Tra i progetti in maggiore stato di avanzamento ci sono quelli legati ai trasporti

La realizzazione di porti, ferrovie e aree industriali rappresenta infatti un primo passo essenziale, in quanto apre la via alla crescita dei commerci e all’interscambio internazionale.

Tra questi interventi ricordiamo gli investimenti funzionali a creare un punto di accesso al Mar Rosso e al continente africano di cui hanno beneficiato il Gibuti, con lo stanziamento di 3,5 mld di dollari per la realizzazione di un’area di libero scambio e ulteriori 590 mln per il porto multifunzionale di Doraleh, e l’Etiopia per la costruzione di un tratto ferroviario e di una base navale.

Il Governo del Gibuti ha inoltre annunciato a gennaio il raggiungimento di un accordo con CMG (China Merchant Group), uno dei maggiori operatori portuali cinesi, per un progetto del valore di 350 mln di dollari con l’obiettivo di creare un hub internazionale.

Molti altri progetti portuali finalizzati a migliorare le strutture di connessione sono in corso d’opera e coinvolgono alcuni dei maggiori porti di:

  • Costa d’Avorio
  • Ghana (Tema)
  • Nigeria (Lekki)
  • Cameron
  • Tanzania (Der es Salaam)
  • Kenya (Mombasa)
  • Egitto

Per quanto riguarda il processo di digitalizzazione, esso non può prescindere dalla presenza di adeguate infrastrutture energetiche, di cui molte aree sono ancora carenti.

Infatti diversi stati tra cui:

  • Sudafrica
  • Nigeria
  • Egitto
  • Kenya
  • Etiopia
  • Tanzania
  • Zambia
  • Ghana

Sono soggetti a continue interruzioni della fornitura di energia elettrica, con danni al settore produttivo.

Anche in questo ambito gli investimenti cinesi risultano ddeterminanti, grazie a progetti finalizzati a finanziare la messa in opera di impianti per la produzione di energia elettrica anche da fonti rinnovabili e di reti di trasmissione e distribuzione agli utenti finali.

I maggiori investimenti realizzati o in via di pianificazione sono localizzati in Nigeria, Etiopia e Kenya. Infine, risulteranno cruciali per la digitalizzazione in Africa le opere previste nell’ambito della realizzazione della cosiddetta “Via della seta digitale”.

Il progetto consentirà a molti Paesi africani di accedere alla fibra ottica grazie al cablaggio che attraverserà il Pakistan per congiungersi con i cavi sottomarini PEACE presenti nel Mar Arabico, a loro volta collegati con la costa africana.

La ealizzazione di queste infrastrutture apre ulteriormente la porta alle società tecnologiche cinesi che potranno incentivare la creazione di data centres, smart cities e la diffusione delle tecnologie 4G e 5G.

Bisogna ricordare che la Cina occupa già una posizione dominante all’interno del settore delle telecomunicazioni, della telefonia e della fornitura di dati mobili e dei servizi voce.

I contratti per la realizzazione di infrastrutture fisse e mobili sono stati affidati in buona parte alle compagnie cinesi Huawei, ZTE e China Telecom, mentre i prezzi competitivi hanno permesso a Transsion di guadagnare il 44% del mercato degli smartphone, seguita da Samsung (20%) e da altri brand cinesi: Huawei (9%), Xiaomi (7%) e Oppo (4%).

Da sottolineare che le società cinesi sono leader nella produzione e commercializzazione di componenti hardware, di cui stanno promuovendo la progressiva sostituzione del materiale desueto con altro di ultima generazione.

Iniziativa Belt&Road:

Maggiori punti di interconnessione

L’iniziativa Belt&Road, altrimenti nota come “Nuova via della seta”, annunciata nel 2013 dal Presidente cinese Xi Jinping, è finalizzata a migliorare i collegamenti commerciali attraverso lo sviluppo di infrastrutture di trasporto e logistica.

L’ampia adesione da parte degli stati africani si è tradotta nella costruzione di numerosi porti, rappresentati nella cartina con una stella, e tratte ferroviarie, tra cui ricordiamo la Mombasa-Nairobi in Kenya, costata 3,2 miliardi di dollari, la linea elettrificata Addis Abeba-Gibuti, costata 3,4 miliardi di dollari e gli investimenti in Nigeria e Angola per un totale di 4 mld di dollari.

Numerosi sono i progetti attualmente in corso che porteranno alla creazione di ulteriori percorsi ferroviari di collegamento tra Tanzania e Zambia.

Investire in obbligazioni dei Paesi emergenti

L’attuale livello dei tassi delle economie sviluppate (quella europea ed americana in primis) spinge molti investitori a riflettere sull’opportunità di investire in obbligazioni dei Paesi emergenti.

In questo momento, i titoli di stato USA a 10 anni rendono circa l’1,70%, quelli italiani circa 0,70%, mentre quelli tedeschi rendono -0,30% (in altri termini un investitore deve pagare per prestare denaro alla Germania, ciò evidentemente in nome della sicurezza).

Non molto diversi sono i rendimenti dell’obbligazionario societario di elevata qualità, sia esso europeo o americano.

Se si confrontano tali rendimenti con quelli delle obbligazioni dei Paesi emergenti, è alta la tentazione di investire su queste ultime.

Nella pagine che seguono cercheremo di dettagliare le principali caratteristiche di un investimento nell’obbligazionario dei Paesi emergenti: la finalità non è certo demonizzare o divinizzare questo tipo di investimento, ma di valutarne attentamente i rischi e le opportunità in modo da prendere decisioni consapevoli.

Le caratteristiche delle obbligazioni dei Paesi emergenti

Le obbligazioni dei mercati emergenti sono titoli emessi dagli Stati in via di sviluppo o, nel caso dei bond societari, dalle loro aziende.

Possono essere emesse:

  1. Valuta locale, cioè nella valuta del Paese di emissione;
  2. Valute forti. Le più frequenti sono le emissioni in dollari americani;
  3. Due valute differenti.

È il caso delle cosiddette obbligazioni “dual currency”, in cui gli interessi sono denominati nella medesima divisa di emissione del titolo, ma il capitale può essere restituito anche in un’altra valuta.

I principali Paesi accessibili all’investitore europeo, come Brasile, Turchia, Messico, Russia e Sudafrica presentano rendimenti di gran lunga superiori a quelli delle economie sviluppate.

Ad esempio, il decennale governativo turco rende al momento circa il 18%. Quello brasiliano rende circa il 10%.

I rischi da valutare

In generale l’investimento obbligazionario presenta una serie di rischi:

  • Il rischio creditizio: un Paese/società con un basso rating è costretto a pagare un rendimento maggiore;
  • Rischio di liquidità: un mercato poco liquido può limitare la possibilità di vendere le obbligazioni quando non si vuole attendere la scadenza;
  • Il rischio tasso: una variazione al rialzo dei tassi implica una riduzione del prezzo delle obbligazioni;
  • Rischio inflazione: a parità di rendimenti nominali, una maggiore inflazione erode i rendimenti reali (cioè al netto dell’inflazione maturata nel periodo);
  • Il rischio di cambio: il deprezzamento della valuta di pagamento degli interessi e del capitale a scadenza, se diversa da quella principale dell’investitore (l’euro per l’investitore europeo), può erodere il rendimento finale dell’investimento.

Un modo per ridurre il rischio creditizio consiste nell’investire in obbligazioni in valuta emesse da un emittente particolarmente solido sotto il profilo finanziario, come la Banca Mondiale o la Banca Europea per gli investimenti.

Una seconda alternativa che consente di ridurre non solo il rischio emittente, ma anche il rischio di liquidità di una singola emissione, è quella di investire in fondi comuni specializzati oppure in ETF.

Per quanto riguarda il rischio tasso, un aspetto molto interessante da segnalare è la duration (ovvero una misura del rischio connesso ad eventuali cambiamenti nei tassi di interesse, che denota la sensibilità del prezzo di un’obbligazione alle variazioni dei tassi di mercato) relativamente bassa che caratterizza i bond emergenti rispetto a quelli dei mercati sviluppati: una minore duration implica una sensibilità agli aumenti dei tassi di interesse contenuta.

In riferimento al rischio inflazione, va da sé che un investitore europeo non è direttamente esposto all’inflazione di un Paese emergente.

Per quanto sopra, sembra già emergere che la principale fonte di rischio a cui prestare attenzione quando si investe in obbligazioni di Paesi emergenti riguarda il rischio cambio.

Un esempio

Per comprendere come può influire l’andamento del tasso di cambio sul rendimento effettivo di un investimento in bond in valuta straniera si confronta un ipotetico investimento effettuato 5 anni fa nei governativi in valuta locale emessi dai Paesi sopra elencati. Per capire come interpretare le tabelle, concentriamoci sul Brasile partendo dalla prima.

Cinque anni fa il titolo governativo brasiliano a 5 anni rendeva il 13,83%. Si ipotizzi di aver investito 100.000 €, ossia 435.060 real brasiliani Si veda ora la seconda tabella.

Nell’arco dei primi 4 anni dell’investimento, il titolo ha reso 60.169 real brasiliani all’anno di interessi cedolari ed a scadenza ha rimborsato il nominale maggiorato degli interessi dell’ultimo anno, ossia 495.229 real brasiliani (= 435.060 + 60.169).

Se avessimo convertito tutti i flussi generati dall’obbligazione al tasso di cambio corrente al momento del pagamento, avremmo ottenuto esattamente i flussi in euro della terza tabella (18.439 € per il primo flusso cedolare, 15.090 € per il secondo flusso cedolare, e così via fino a scadenza).

La somma dei flussi in euro dell’investimento al termine dei 5 anni è pari a 132.480 €, con un rendimento di periodo del 32% rispetto ai 100.000 € investiti, cioè del 5,79% annuo lordo.

Dunque, un rendimento lordo ex-ante in valuta locale del 13,83% ha generato ex-post un rendimento annuo in euro del 5.79% (meno della metà).

La situazione rappresentata è davvero variegata:

  1. Per il Brasile il rendimento si è più che dimezzato;
  2. Per il Messico si è quasi annullato;
  3. La Russia ed il Sudafrica il rendimento ex-post è leggermente inferiore rispetto a quello ex-ante;

In riferimento alla Turchia l’investimento ha distrutto ricchezza per circa l’8% all’anno (-35% nell’arco dei 5 anni).

Dall’esempio emergono due riflessioni:

Il profilo di rischio/rendimento di un investimento in obbligazioni emergenti è molto simile a quello di un investimento azionario.

L’andamento della valuta incide in modo rilevante sul rendimento, come nel caso della lira turca, in cui il deprezzamento ha pregiudicato l’esito dell’investimento.

Senza avere la pretesa di essere esaustivi, l’apprezzamento o il deprezzamento di una moneta rispetto ad un’altra dipende da numerose variabili:

La robustezza dell’economia reale dei due Paesi, la dinamica dell’inflazione e dei tassi di interesse e, vista la forte dipendenza di economie emergenti dalle esportazioni, l’andamento del commercio internazionale.

Dunque, una decisione di investimento in obbligazioni in valuta locale va ponderata non solo in riferimento al tasso di interesse nominale, ma anche (e forse soprattutto) alla luce della view sull’andamento prospettico della valuta di riferimento.

In sintesi:

Il rapporto tra i tassi di interesse nominali di due Paesi è uguale al rapporto tra il tasso di cambio corrente e quello atteso.

Per definizione:

Quanto più elevati sono oggi i tassi di interesse esteri rispetto a quelli nazionali, tanto più elevato è  il cambio rispetto a quello corrente.

Ossia tanto maggiori sono le attese di deprezzamento della valuta estera rispetto a quella nazionale.

La realtà è molto più complessa delle relazioni matematiche, ma soprattutto è mutevole nel corso del tempo.

l’equazione sopra riportata consente di inquadrare la questione:

Se si è attratti da tassi di interesse più elevati di altri Paesi bisogna mettere in preventivo che;

Questi maggiori tassi di interesse “scontano di per sé” un deprezzamento della valuta estera.

A questo proposito, è interessante considerare un esempio dal titolo “Si dovrebbero comprare titoli brasiliani?” tratto da un noto libro “Macroeconomia – una prospettiva europea”, di Blanchard, Amighini, Giavazzi (Il Mulino), di cui si riporta in seguito una sintesi leggermente semplificata.

Si immagini di tornare indietro nel tempo al settembre del 1993, quando i titoli brasiliani rendevano un tasso di interesse mensile del 36,9%.

Nello stesso mese i titoli statunitensi rendevano il 3% annuo, corrispondente ad un tasso mensile dello 0,2%.

Il tasso di interesse brasiliano sembrava quindi molto più conveniente rispetto a quello statunitense: da cittadini USA avremmo quindi dovuto tutti comprare titoli brasiliani?

Per poter decidere era necessario conoscere un’informazione cruciale: il tasso di deprezzamento atteso del cruzeiro (la valuta brasiliana a quel tempo). Il dollaro valeva 134,6 mila cruzeiros alla fine del mese di agosto del 1993.

Il differenziale tra i tassi nominali ad un mese, il tasso di cambio, deriva dalla:

Parità Scoperta dei Tassi di Interesse, è pari a: 183,9 mila cruzeiros, con un deprezzamento implicito del 36,6%.

Se il deprezzamento atteso si fosse realizzato nel mese di settembre?

Il rendimento in dollari per un mese in titoli brasiliani di un cittadino USA sarebbe esattamente pari al rendimento dei titoli statunitensi.

Settembre 1993, il cruzeiro si è deprezzato del 35,5%:

Il rendimento ex-post in dollari in titoli brasiliani per un mese di un cittadino USA è pari allo 1,0% e non al 36,9%.

Il valore di 1,0% al mese è comunque molto più alto del tasso di rendimento mensile sui titoli statunitensi (0,2%):

onsiderando tuttavia anche i costi di transazione ed il rischio emittente, probabilmente il cittadino americano avrebbe deciso di non investire in titoli brasiliani.

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